Springsteen, nuovo disco: «Canto la gioia degli anni andati»
Scritto da Emanuele Saccardo il Novembre 4, 2022
Bruce Springsteen è pronto a dare alla luce l’album numero 21 di una carriera infinita, piena di successi.
Questa volta ha scelto la via del tributo, il secondo dopo quello del 2006 dedicato a Pete Seeger con We Shall Overcome: The Seeger Sessions.
Sarà un omaggio che corre sulla strada di tre decenni: i magnifici Sixties, gli anni Settanta e gli Ottanta.
Un ampio arco temporale percorso attraverso le canzoni più amate dal Boss.
SINGOLI APRIPISTA: UNA BOMBA
Il disco in uscita venerdì 11 novembre s’intitolerà Only the strong survive, come l’omonima canzone di Jerry Butler incisa nel 1969 e cantata anche da Elvis Presley nello stesso anno.
Sarà proprio questo il brano che aprirà le danze, la track numero 1. Adattissima, peraltro, all’inizio di decennio vissuto sin qui dall’umanità.
Ma a spianare la strada alla promozione della vecchia/nuova musica di Springsteen ci hanno già pensato tre brani celebri.
Il primo singolo è stato Do I love you (indeed I do), pezzo di Frank Wilson, che ha fatto impazzire le radio di mezzo mondo finendo presto nella top 35 della rotazione.
A seguire è arrivata l’elegantissima Nightshift dei Commodores, unica hit della band dopo l’addio di Lionel Richie nel 1982.
Infine, spazio alla corposa versione di Don’t play that song, molto vicina a quella cantata da Aretha Franklin.
Un inizio niente male per una collezione che si preannuncia di gran gusto ed energia.
IL SOUL E LA BLACK MUSIC COME SECONDA PELLE DEL BOSS
Con quello che, parola di Springsteen, «è un regalo fatto a me stesso», il Boss rende giustizia per la volta ennesima alla sua profonda vicinanza con la musica nera e il soul.
Radici ben piantate, forti dei primi anni di un giovane Bruce a farsi le ossa su e giù per i locali del New Jersey. Anni formativi e, per paradosso, senza radici.
Ma il seme veniva sepolto sotto ogni palco o pedana o marciapiede dove Springsteen prendeva le misure alla vita che sarebbe germogliata poi, quella che avrebbe vissuto e che ancora oggi vive.
«Volevo fare un album in cui poter solamente cantare», ha raccontato in una recente intervista, «mi sono ispirato a grandi artisti come Diana Ross, Scott Walker, per fare solo alcuni nomi».
«Vorrei che la gente di oggi apprezzasse e godesse della musica di allora così come è accaduto a me, che cogliesse la gioia e la bellezza che c’è dentro».
L’ETERNA GIOVINEZZA PRONTA A TORNARE SUL PALCO
Dopo Broadway, dopo migliaia di concerti e milioni di dischi venduti; dopo aver incassato circa 500 milioni di dollari dalla cessione del proprio catalogo – master compresi –, dopo tutto questo Springsteen non è ancora stanco.
Anzi, sembra ringiovanire ogni anno un po’ di più. Perciò è lecito pensare che nel 2023 sembrerà poco più che cinquantenne quando tornerà dal vivo a infondere proverbiali good vibrations nel cuore dei suoi fan.
Noi lo aspettiamo alle porte di Milano, perché il 25 luglio si esibirà a Monza. Siamo certi che sarà uno show memorabile: non esiste un concerto del Boss che sia uguale a quello che lo ha preceduto.
Springsteen incarna alla perfezione la massima “fai ciò che ami e non lavorerai un solo giorno in vita tua”.
Anche se a me, personalmente, questa frase non piace poi più di tanto: il lavoro è lavoro pure se te lo godi, ma questa è un’altra storia.
NON SEMPRE SONO ROSE E FIORI
In una certa misura credo che l’uomo Bruce pensi lo stesso, che il lavoro sia solo lavoro comunque tu lo voglia guardare, per quanto tu lo possa amare.
Perché l’uomo Bruce non è diverso dagli altri della sua specie e qualche volta cade nelle stesse trappole.
Come la depressione, di cui ha diffusamente parlato a cuore aperto nella meravigliosa autobiografia Born to Run e di cui anche noi a Razione K parleremo nella prossima puntata.
Racconteremo dell’uomo Bruce e della stella del rock Springsteen. Perché, come dice lui, «quando sono sul palco è l’unico momento della mia esistenza in cui ho il controllo di quello che sta succedendo, delle mie emozioni e del mio stato d’animo».
Forse a tutti servirebbe un personale tipo di palco per raddrizzare, almeno un po’, il quadro appeso al muro della vita.