Metallica, da Cliff Burton al nuovo singolo: sempre in sella
Scritto da Emanuele Saccardo il Marzo 2, 2023
Oggi il nostro viaggio ci riporta ancora una volta negli Stati Uniti, ma prima di arrivare a Los Angeles nei primi anni Ottanta – nostra destinazione principale –, saltiamo avanti nello spazio e nel tempo.
Svezia meridionale, contea di Kronoberg. Siamo a fine settembre del 1986, estate.
Dovrebbe fare caldo, ma siamo in Scandinavia e la crisi climatica non è ancora al suo apice, non è nemmeno nel vocabolario delle persone.
Fa freddo, di notte si forma ancora il ghiaccio. Almeno è quel che si racconta.
Se ne forma meno che in inverno, d’accordo, ma è pur sempre ghiaccio: ricopre il grazioso paesaggio bucolico, le foreste, le grondaie. E la strada.
Quella è la lingua d’asfalto sulla quale sta viaggiando il tour bus di una band che poche ore prima si è esibita a Stoccolma.
Il concerto è stato grandioso, un successo. Sul bus c’è entusiasmo e anche tanta stanchezza.
Bassista e chitarrista decidono di giocarsi il posto letto più comodo, più prestigioso per così dire: quello accanto al finestrino.
Vince il bassista che, forse, gongola e prende in giro il chitarrista, che abbozza e accetta la sconfitta.
Quello che nessuno può sapere, incluso il bassista, è che quella scommessa porrà fine alla sua esistenza terrena, cambiando per sempre il corso della storia della band. I Metallica.
Il testamento musicale di Cliff e «l’intruso» Newsted
To live is to die è un brano che, in buona parte, era stato scritto poco prima di morire da Cliff Burton, il bassista di cui stiamo parlando.
Il pezzo entra a far parte della tracklist di And Justice For All, disco del 1988 dei Metallica, il primo con il sostituto di Burton, Jason Newsted.
Ma Cliff resta insostituibile, tanto che in questo album il mix pare così sbilanciato, forse sbagliato, da far pensare che la quasi totale assenza del basso sia stata fatta di proposito.
Forse è solo una questione di dolore, di tempo che deve trascorrere, di rabbia che deve trovare modo e posto per essere sublimata.
Perché tutti, a partire dalla Polizia e fino a Kirk Hammett, il chitarrista che si è giocato il posto con Burton, non credono sia stato il ghiaccio a far sbandare il bus, catapultando Cliff fuori dal finestrino per finire schiacciato dal mezzo.
Il ghiaccio, molto probabilmente, non c’era.
No, il sospetto è che l’autista fosse fatto. D’alcol o droga o stanchezza poco importa, ormai.
La sensazione di tutti è che niente sarà più come all’inizio del loro viaggio. Un viaggio che un burattinaio ha improvvisamente deciso di stravolgere.
La genesi del trash metal passa dai Metallica
Torniamo indietro nel tempo e nello spazio: 1981, Los Angeles.
La città degli angeli si è lasciata alle spalle gli echi punk britannici e la new wave, ma i brandelli rimasti e filtrati dalle orecchie dei ragazzi americani danno vita a qualcos’altro.
Non si butta via niente, mai, neanche la spazzatura.
Nasce il trash metal: velocità pazzesche e tecnica di rilievo sono un triplo carpiato del rock, serve gente che sappia davvero suonare.
Servono muscoli, rabbia, intensità. In questa realtà Lars Ulrich, batterista, e James Hetfield, cantante chitarrista, plasmano la loro creatura: i Metallica.
Arriverà presto anche Dave Mustaine, altro chitarrista che vivrà la sua dose di rimpianto in seno ai Megadeth, dopo parecchie dosi d’altro genere, e arriverà soprattutto Cliff Burton.
Il bassista diventa presto il fulcro attorno al quale ruotano tante delle dinamiche della band, inclusa la proposta di trasferire il quartier generale lontano dalla perversione di L.A.
San Francisco e la sua baia sono la coordinata mater: dopo l’estate dell’amore, arriva il tempo di cavalcare il fulmine della notorietà globale.
Il successo planetario
I Metallica piacciono. Insieme ad Anthrax, Slayer e ai Megadeth del licenziato Mustaine diventano il simbolo del trash metal.
Il successo arriva, ma il 1986 spacca in due il mondo e mescola le carte.
Rimpianti? Senz’altro più di qualcuno. Belli grandi, anche.
Sensi di colpa? Altrettanto, dimensioni paragonabili a quelle di un bus che si porta via un amico, un compagno, uno dei quattro cavalieri dell’Apocalisse.
Non si torna indietro.
Sì, ma come si affronta il dopo? James Hetfield esaspera il suo rapporto con l’alcol, sino a ricalcare il cliché dell’entra ed esci dalle cliniche per disintossicarsi.
I rapporti con Lars Ulrich si fanno tesi, Newsted resterà a lungo ma tutti sanno (lui compreso) che il fantasma di Cliff non se lo porta via nemmeno un esorcismo. Kirk arranca.
Dopo il 1988, però, qualcosa inizia a cambiare.
I Metallica si mettono nelle mani di Bob Rock: la fama del produttore lo precede, nel curriculum le referenze sono firmate da Bon Jovi e Mötley Crüe.
Così accade un mezzo miracolo: il basso torna al centro del progetto e Newsted, almeno per un po’, scende a patti con la memoria di Cliff.
La lavorazione del Black Album, per quanto difficile perché i problemi non si risolvono alla svelta, procede.
E quando il disco esce, la terra trema: tre hit pazzesche, un tiro più commerciale ma non meno efficace dei dischi precedenti.
Il nuovo lavoro li proietta nella stratosfera del rock.
Con buona pace dello zoccolo duro di fan intransigenti, chiusi a doppia mandata nella stanza del trash metal.
Napster e l’apparente declino
Cinque anni. Un lustro. 1825 giorni.
Tanto occorre ai Metallica per smaltire il carico di successo, di eccesso, di troppo insomma, derivato dal disco nero.
Nero come un buco vicino al quale tutto rallenta.
E rallentano le idee, ci può stare.
Dopo aver suonato in tutti i continenti del pianeta incluso l’Antartide, diamine, ci può stare.
Solo che se sei un artista, magari fragile, il vuoto creativo può ucciderti.
Perché è nel vuoto che amano danzare le ombre, i fantasmi.
Hetfield ricasca nel pozzo a gradazione alcolica, colleziona gettoni da riabilitazione, brucia sponsor come cerini in un giorno di vento.
Qualche lampo di luce c’è, per i Metallica, come la partecipazione alla colonna sonora di Mission impossible II nel 2000.
Ma la gioia dura poco: la bile travasa contro Napster, bisnonno pirata dello streaming di oggi.
Cause, patteggiamenti, ostracismi. I Metallica diventano parodia e bersaglio: egoisti si dice, attaccati al denaro si urla.
Newsted ne ha abbastanza e molla il colpo, lasciando la band senza il bassista ancora una volta.
Il nuovo millennio non promette bene.
La fenice e il portico
Invece i Metallica si rialzano.
Risorgono dalle ceneri di un passato ingombrante.
La fenice del trash non smette di vivere.
Al basso arriva Robert Trujillo, ex tra gli altri di Ozzy Osbourne; Hetfield fa pace con i suoi demoni; Kirk Hammett con il senso di colpa e Ulrich, forse, con il resto del mondo.
I capelli sono di meno e sono bianchi, l’energia dei venti o trent’anni non c’è più, ma è compensata da una rinnovata sensibilità, senza remore nei confronti di nessuno.
Essere veri, essere se stessi nel bene e nel male, nella fragile forza della natura umana. Il pubblico capisce e apprezza.
Gli stadi e i festival sono comunque pieni (Milano vibra ancora), le tasche anche, il passato è finalmente una terra straniera.
A modo loro hanno compiuto l’arco narrativo che gli spettava e sono pronti per sedersi sotto al portico, a guardare il tramonto con serenità.
Continuando a fare musica e a incendiare le radio con il nuovo singolo uscito ieri, If Darkness had a son.