Billy Idol vs Yungblud: passato e futuro del punk rock
Scritto da Emanuele Saccardo il Aprile 13, 2023
Oggi la nostra automobile del rock attraverserà la Manica, passerà da Londra, viaggerà verso il South Yorkshire dalle parti di Sheffield, più precisamente a Doncaster, per poi fare anche un salto oltre Oceano all’ombra della Statua della Libertà.
Il nostro scopo come sempre è quello di fare scorta di personaggi rock, in particolare di due figure che stanno a metà strada fra il pop e il punk.
Ecco il motivo della nostra gita nel Regno Unito, patria di quest’ultimo genere, nonché casa di Billy Idol e Yungblud.
Passato, presente e prossimo futuro della costola mainstream del punk anni ’70, del quale abbiamo più volte (e diffusamente) parlato.
Ma non ci stanca mai, così come non ci stanca il nonno più cool del rock, Billy Idol, e non ci stanca nemmeno tentare di capire chi sia davvero Yungblud, il nipotino apparentemente più dotato nella schiera di pretendenti al trono.
Cercheremo qualche punto di contatto tra i due, perché sapete che a noi piace tirare la coperta corta finché non si strappa.
Michael Broad diventa Idol
Partiamo da William Michael Albert Broad, vera identità del biondo punk rocker che ha girato il globo come Billy Idol.
Iniziamo dunque da qui, dal nome: William, classe ’55, soffre e mal sopporta la Londra nella quale si trova a crescere.
Le restrizioni post belliche protratte ben oltre la fine del secondo conflitto mondiale, la ricostruzione in mezzo al senso di devastazione ancora presente, il morale dei londinesi, in generale un’atmosfera cupa.
Vuoi o non vuoi, tutto incide nell’animo di un futuro ribelle. La voglia di fuga e affermazione personale cresce a prescindere.
Poi la luce si accende all’improvviso, l’esplosione della Swinging London e della psichedelia Sixties sono l’interruttore.
William sta entrando nell’adolescenza, sente di non appartenere a Mary Quant e alle minigonne, sente che gli servirà altro per trovare la strada maestra della sua natura.
Il biondino freme e non ha molta voglia di studiare, un professore glielo fa notare brutalmente scrivendo sopra un suo compito tutto sbagliato la frase: “William is idle” (vale a dire: “William è un fannullone, è pigro”).
Il ragazzo coglie al volo l’occasione e inizia a farsi chiamare, da quel momento, Billy Idol. Pigro e idolo, in inglese, si scrivono in modo diverso ma si pronunciano allo stesso modo.
Questo è il primo atto di ribellione di Billy, poco dopo si entra nella seconda parte degli anni ’70, si entra in zona Sex Pistols.
Idol capisce di appartenere a loro e a Vivienne Westwood. Da lì comincia un’altra storia.
Le cose che abbiamo in comune
Le cose certe che Billy Idol e Yungblud hanno in comune sono almeno tre: la provenienza geografica, il gusto musicale e l’alter ego che sale sul palco.
Il vero nome di Yungblud è, infatti, Dominic Richard Harrison. Il classe 1997 nasce a Doncaster, sulle rive del Don (non quello russo ovviamente), non lontano da Sheffield, quindi Inghilterra.
Il ragazzo pare dotato, è polistrumentista (suona chitarra, pianoforte e batteria) e sa stare sul palco. Non poca roba considerando che il suo singolo di debutto, King Charles, è datato 2017: perciò una release da ventenne.
Soprattutto, una release di peso: Yungblud ha avuto modo di spiegare che si considera «un artista socialmente consapevole che non ha paura di offrire canzoni di protesta o denuncia sociale».
In questa affermazione può trovare spazio anche l’interessante brano I love you, will you marry me.
Anch’esso del 2017, descrive la vera storia di un uomo di nome Jason che chiede alla sua amata Clare Middleton di sposarlo attraverso un graffito sopra un ponte di Park Hill, quartiere di Sheffield.
La storia non ha però un lieto fine: la promessa sposa morì di cancro nel 2007, mentre Jason finì per diventare un senzatetto.
Oggi quella scritta esiste ancora sotto forma di neon, sullo stesso ponte sopra il quale Jason, che temeva le altezze, realizzò l’opera con lo scopo di mostrarla a Clare dal cinema di fronte, in un lontano giorno del 2001.
Gli anni del successo di Idol
Dopo gli esordi nel 1976 con la band new wave che successivamente sarebbe stata conosciuta come Siouxsie and the Banshees, la carriera da solista di Idol cominciò con l’EP Don’t Stop del 1981.
Conteneva il brano Dancing with Myself dei Generation X, altra band fondamentale per la formazione del giovane artista.
L’anno successivo arrivò il primo LP eponimo, che riscosse un successo davvero inaspettato grazie anche alla hit White Wedding, che trasformò Idol in una presenza immancabile nelle rotazioni di MTV.
Passò ancora un anno e, nel tentativo di conquistare anche gli Stati Uniti, l’etichetta di Idol pubblicò Dancing with Myself negli USA con un video che fu trasmesso su MTV per sei mesi.
Sempre del 1983 è il secondo disco di Billy, Rebel Yell, che confermò il successo e proiettò Idol tra le superstar musicali a stelle e strisce.
Successivamente arrivò anche la scalata delle classifiche europee, soprattutto in Germania, Italia, Svizzera e, più tardi, Regno Unito. Nemo propheta in patria, giustamente.
L’album Rebel Yell ottenne un consenso plebiscitario in tutto il pianeta ed è considerato il culmine della carriera di Billy.
I singoli Eyes Without a Face, Flesh For Fantasy e l’omonima Rebel Yell divennero simbolo del pop rock anni ’80.
Le cose che abbiamo in comune, parte seconda
Anche Yungblud, come nonno Idol con il film Big, ha visto un suo brano all’interno di una colonna sonora.
O meglio: una cover cantata dal giovane artista britannico, Time in a bottle di Jim Croce, è stata inserita in Fast and Furious: Hobbs & Shaw, uno dei ‘centordici’ capitoli della saga.
Per trovare un altro punto d’attracco fra i due moli verso cui stiamo navigando oggi, il giovane Yungblud ha omaggiato Billy Idol con un riferimento a Dancing with myself nella sua The Funeral, brano riuscitissimo e trasmesso in heavy rotation un po’ da tutte le radio a partire dalla primavera del 2022.
Il presente del nonno cool
E veniamo al lavoro in studio più recente di Billy Idol, Kings & Queens of the Underground, datato ormai 2014, cui sono seguiti un paio di Ep e live sparsi negli ultimi due anni.
Il disco dimostra che si può fare musica di buona qualità anche superata una certa soglia anagrafica, che l’attitudine se ne frega delle carte d’identità varie ed eventuali.
Certo, poi si può sempre discutere del fatto che, al di là del diritto di seguire la propria musa fino all’ultimo giorno di vita, continua a vendere ancora e parecchio la generazione che si tinge i capelli non per moda ma per necessità.
Per questo speriamo in Yungblud e cugini affini (tipo Machine Gun Kelly, per fare un nome).
Il ricambio generazionale è necessario per la sopravvivenza.
A ogni modo la longevità ha permesso a Billy Idol di ricevere la stella ambita, quella della Walk of Fame di Hollywood, altra città americana cara al cantante inglese.
Come in ogni storia umana che si rispetti, anche quella di Idol nasconde la sua sliding door: lo stesso Billy ha raccontato che se non fosse diventato un cantante, la sua professione sarebbe stata la stessa del padre, vale a dire seguire gli affari della piccola bottega di famiglia.
Per Billy Idol, insomma, non esisteva un piano B diverso dalla musica: un animo punk dietro un bancone è come un drugo di Arancia Meccanica a un corso di buone maniere. Una forzatura.