Gianluca Grignani: dai Radiohead a Joker, una vita originale
Scritto da Emanuele Saccardo il Maggio 17, 2023
Spesso i flop diventano cult. Certo ci vuole tempo, pazienza a pacchi.
Bisogna far smagnetizzare i nastri a furia di ascoltarli, consumare i solchi dei vinili.
Il sacrificio a volte vale il premio della rivalutazione a furor di popolo.
È successo anche a La fabbrica di plastica di Gianluca Grignani, album che il 20 maggio compirà 27 anni.
Non fu all’altezza delle aspettative in quanto a vendite, salvo poi entrare con il tempo nella nicchia sacra dei dischi incompresi e, perciò, bellissimi a prescindere.
Nel solco dei Radiohead
Forse il senso di tutto è nell’ultima affermazione poco sopra, a ogni modo la domanda me la sono posta ancora una volta: perché?
Gianluca disse una volta: «Ma non lo so, io volevo solo rifare The bends», disco numero 2 dei Radiohead uscito nel ’95.
E così, nel ’96, per il suo secondogenito discografico, il Grigna stravolge in parte ciò che soprattutto la Tv e Sanremo avevano sancito e costruito attorno a lui: faccino pulito, bello, capelli lunghi, sguardo un po’ tenebroso.
E la musica? Ma sì, bene eh, ma anche dopo.
E invece Gianluca Grignani è anche quello tormentato e introspettivo ed elettrico e sperimentale e mai noioso e psichedelico di questo disco qui, La fabbrica di plastica.
Tutto sommato di buona parte del successivo, Campi di Popcorn, che a gennaio ha spento 25 candeline.
Sui binari di vita e carriera
Oggi non ho avuto bisogno di noleggiare nessuna macchina, oggi si viaggia sul tram del rock.
Siamo nella nostra città, Milano. Nostra fino al midollo, nostra al punto che ci piace sentirla scorrere sotto i binari, da Porta Genova in avanti.
Perché per noi il vecchio capolinea del 9 resta il Nord, la Stella Polare.
Ci siamo dati appuntamento sotto le finestre della mia prima fidanzata (scelta mia, ovviamente), perché proprio qui ascoltavo a ripetizione La mia storia fra le dita, con in mano una Ceres quando ancora i bar te le davano senza chiedere la carta d’identità anche se era palese che fossi minorenne, e anche se era palese che alle 11 di mattina non sarebbe stato il caso.
Ma io volevo essere un poeta maledetto, come Rimbaud, e come Gianluca che già negli angoli più nascosti del suo primo album aveva lasciato indizi di quel che sarebbe arrivato poi.
Lo guardo, gli vorrei dire subito che il talento cristallino non se lo porta via nessuno scivolone, nessun gomito alto, ma questo lo sa lui e lo sanno tutti.
Del resto non vendi 5 milioni di copie per caso. Le vendi se hai da dire, se sai cavare fuori sangue dai pensieri.
E non diventi amico di Massimo Cotto se non sei sensibile, ma su questo ci torniamo più tardi.
Il Joker: alter ego e (forse) vera identità
Il Joker. Da sempre per Grignani rappresenta l’altra metà, l’identità nascosta o forse in bella mostra, sotto il sole, quella che traduce in versi i pensieri. Chissà.
Il tram adesso costeggia la Darsena e punta il muso verso piazza XXIV maggio.
Dietro gli occhiali da sole il Grigna fa qualche smorfia, allunga il collo a sbirciare una coppia appoggiata al parapetto alla nostra sinistra, forse intravede qualcosa del suo passato.
Gli domando del Joker, del matto nelle carte e del cattivo nei film.
Mi risponde citando una sua intervista per Rolling Stone: «La buonanima di mio nonno, artista e musicista, mi costruì un Arlecchino di legno. Lo misero davanti alla mia culla, l’ho avuto sempre davanti agli occhi.
«La prima volta che sono entrato in una casa discografica e ho visto tutte quelle foto di cantanti con il disco d’oro sotto, mi son detto: quando ne avrò uno anch’io, farò la foto da Joker. Fine. Poi ci ho scritto su una canzone e l’ho infilata in Campi di Popcorn.»
Gianluca sorride, si gratta la tempia.
Il semaforo è diventato rosso, così ha il tempo di intonare l’incipit di un altro pezzo del terzo disco: “Aspetto qui seduto alla fermata, passa prima il caldo o il tram.”
La strumentalizzazione mediatica
Siamo ripartiti, ora ci troviamo sotto l’infinita alberata che da piazza Medaglie d’oro porta fino a piazza della Repubblica.
Sballottati e quasi soli in questo tramonto di maggio in braccio al legno laccato del tram numero 9, chiacchieriamo ancora un po’: carina la versione solo voce e chitarra di La fabbrica di plastica, ma dice che non la rifarebbe.
Io non sono d’accordo, se un pezzo sta in piedi voce e chitarra, vuol dire che è bello.
Sì, fa lui, ma poi ti travisano. La gente non lo fa sempre?
Già, anche con la storia del bere e del suicidio.
Gianluca beve pochissimo perché non regge molto l’alcol, eppure si racconta che sia un alcolizzato anche per quel dannato capodanno in diretta Tv.
Dopo il primo Sanremo, a proposito di Destinazione paradiso, disse che aveva pensato al suicidio, ma come fanno tanti ragazzini: era solo un pensiero, non un disagio esistenziale così radicato da portarlo all’idea di metterlo in pratica.
Eppure venne strumentalizzato. Insomma, prima ti vogliono bello e dannato, poi non gli vai bene e si rendono conto che è meglio ammaestrarti.
Quando si accorgono che non sei un giocattolo, però, cercano di venderti comunque secondo la loro lente d’ingrandimento.
Ma poi succede che il giocattolo scappa dalla vetrina e fugge dal retro. Libero. Con i suoi demoni e divinità private, ma libero.
A proposito de La vetrina del negozio di giocattoli, credo sia un testo molto più maturo dell’età di Grignani quando l’ha scritta.
O no, gli chiedo? In fondo aveva poco più di vent’anni e aveva già capito tutto.
Un testo che insieme a quello della fabbrica è il manifesto della sua identità di allora, forse della sua natura permanente: io non sono quello che vuole il Festival, che sia sulla riviera dei fiori o quello dei playback a oltranza nelle piazze italiane.
Io non sono un faccino da mettere in copertina. Gianluca annuisce, anche se con il tempo e la maturità si è ammorbidito.
All’epoca, dice, ero tipo bambino: urlavo perché mi dessero retta.
E oggi; che cos’è Gianluca Grignani, chi è soprattutto?
Per me è quello da cui non puoi mai pretendere una scaletta rigida e totalmente preordinata, né sul palco né fuori, e va bene così.
Spesso è pura ispirazione, genuina vita. Come alla presentazione dell’ultimo libro del suo grande amico Massimo Cotto: Grignani era invitato come ospite.
Fu genuino e vero in ogni intervento, anche in quelli che potevano apparire fuori luogo, e invece erano solo fuori fuoco per noi che non vediamo nella stessa maniera, con la stessa sensibilità di un artista come Gianluca.