La Ghisolfa: Milano popolare tra cinema e letteratura
Scritto da Luana Falasca il Febbraio 14, 2023
Nel 1908, tra via Mac Mahon e via Monte Ceneri venne costruito un nuovo quartiere, una borgata di edilizia popolare oggi tra le più antiche di Milano.
L’idea di base
Il quartiere fu progettato da due ingegneri dell’Ufficio tecnico comunale, Giannino Ferrini e Arnaldo Scotti, ed è una sorta di ‘campionario’ delle diverse tipologie di abitazione che all’epoca si consideravano idonee per le case popolari.
Vi si trovano cinque edifici a corte alti quattro piani, quattordici villini a due piani, due blocchi di case unifamiliari a schiera con un piccolo giardino privato.
L’idea alla base del progetto era quella di soddisfare la domanda di alloggi economici per diverse fasce salariali.
Negli edifici a corte c’erano gli appartamenti più piccoli, ma tutti erano dotati di servizio igienico e acquaio della cucina.
Un lusso che oggi diamo per scontato.
Queste case furono gestite da quello che allora si chiamava IACP, l’Istituto autonomo per le case popolari, divenuto successivamente ALER MILANO.
L’IACP nacque il 12 agosto 1908 per volontà del Comune meneghino con il compito di garantire alloggi igienici e a buon mercato alle classi meno abbienti.
Queste erano per lo più il frutto della forte immigrazione dal Sud, attirata dall’industrializzazione della città e quindi dall’offerta di posti di lavoro.
Il parco Giovanni Testori
Il parco pubblico del quartiere è stato intitolato allo scrittore Giovanni Testori.
La storia della vita che si sviluppa intorno al ponte della Ghisolfa e quella di Giovanni Testori sono fortemente legate da alcune delle opere letterarie più famose dell’autore.
In particolare ricordiamo le raccolte di racconti Il ponte della Ghisolfa, composta da diciannove storie pubblicate nel 1958, e La Gilda del Mac Mahon editata nel 1959.
Giovanni Testori sviluppò una vera e propria ossessione per la gente che viveva in questo quartiere popolare, fatto di persone arrivate in città in cerca di lavoro e fortuna, dolorosamente costrette ad allontanarsi dalle terre di provenienza.
Era spesso gente disperata e disposta a tutto pur di riscattarsi.
Lo stesso Testori raccontò di aver iniziato a frequentare i locali e le palestre di pugilato della Ghisolfa, con l’intento di osservare da vicino una realtà che lo attraeva e della quale sentiva il bisogno di scrivere.
L’atmosfera che attrasse il cinema
Ai suoi racconti si ispirò il regista Luchino Visconti per il film Rocco e i suoi fratelli, meravigliosa pellicola del 1960.
Per chi ama Milano, oppure per chi non la conosce ancora bene e vuole comprenderla meglio, è fortemente consigliata la sua visione.
Vi si trovano diversi scorci di una città che oggi in parte non c’è più, ma che ugualmente conserva la propria natura.
Indimenticabile la scena con Alain Delon e Annie Girardot che litigano sul tetto del Duomo: vista mozzafiato sulla piazza e città sullo sfondo.
Un’altra scena del film, forse non la più famosa, è molto interessante per restituirci un pezzo della storia che stiamo raccontando.
La numerosa famiglia lucana protagonista si trasferisce a Milano per raggiungere Vincenzo (il figlio maggiore): i componenti arrivano senza preavviso.
Come dice lo stesso Vincenzo sono «un terremoto», una tempesta che causa la rottura del fidanzamento con la promessa sposa, la bellissima Claudia Cardinale.
Vincenzo, disperato, non sa dove ospitarli. La prima notte li sistema come può a casa di conoscenti, mentre lui va a dormire nella baracca del cantiere dove lavora.
Qui trova Armando, il guardiano: con un forte accento milanese, lo rassicura suggerendogli uno stratagemma per ottenere un posto gratuito alla casa per gli sfrattati.
Dopo avergli spiegato come fare, conclude con la celebre battuta: “Il Comune di Milano non lascia nessuno in mezzo alla strada”.
La sicurezza con cui il guardiano pronuncia queste parole ci ricorda quanto, negli anni ’50, l’idea di ciò che oggi chiamiamo welfare fosse radicata e condivisa.
Un animo solidale che tutti vorremmo veder sopravvivere ai cambiamenti.