Ossessione, celebrità: quando i fan uccidono (seconda parte)
Scritto da Emanuele Saccardo il Marzo 23, 2023
Avevamo chiuso la prima parte con la storia arcinota di John Lennon, una tra le più famose vittime della follia umana travestita da ammiratore a caccia di autografi e notorietà.
Proseguiamo in questo viaggio nel ricordo di giovani vite spezzate, con il proposito di non dimenticare e il monito di non sottovalutare mai la sovra esposizione mediatica.
Christina Grimmie
Se andate su YouTube e digitate Christina Grimmie, è piuttosto probabile che tra i primi risultati che vedrete ci sarà la sua cover voce e piano di Titanium.
Sia faceva tremare i muri, ma questa ragazzina di appena 18 anni li fa venire giù dalla sua cameretta.
Una tastiera, un microfono e una voce che arriva dritta come una spada, senza fare sconti.
Christina è talmente brava che nel mondo pop se ne accorgono tutti.
Oltre 24 milioni di visualizzazioni con le cover di Miley Cyrus; gente del calibro di Justin Bieber e Selena Gomez messa alle spalle come niente fosse, come se giocassero un campionato diverso.
Christina frantuma record e, come da prassi, fa innamorare una generazione di ragazzini e ragazzine.
Poi i ragazzini diventano giovani uomini, qualcuno di loro perde interesse, com’è normale. Qualcuno, al contrario, non perde la devozione.
Per uno in particolare, Kevin James Loibl, la devozione si trasforma in ossessione e l’ossessione in qualcosa che oggi conosciamo sfortunatamente troppo bene: lo stalking.
Tanto Christina quanto il suo entourage lo conoscono, non è la prima volta che tenta di incontrarla, che le scrive, che la pedina.
Lei è spaventata, forse la rassicurano: Chris, sei circondata da tanto amore, da tante persone che ti proteggono. Sei al sicuro.
Quanto puoi essere al sicuro quando qualcuno decide che se non avrà un futuro al tuo fianco, nemmeno tu hai diritto ad averne uno?
Quanto può fare lo scudo di fan adoranti e pacifici che da te vogliono soltanto una firma e un sorriso?
Possono poco, loro, i buoni. Possono niente se il cattivo della storia è armato: la polizia troverà addosso a Kevin una seconda pistola, dei caricatori e un coltello.
Tutto questo a tragedia compiuta, incluso il suicidio dell’omicida. Per freddare a bruciapelo Christina gli sono bastati tre colpi della prima arma.
Il Plaza Live Theather di Orlando, da quel giorno, non è più stato lo stesso luogo.
Rebecca Schaeffer
Fa un caldo d’inferno a West Hollywood. E non è normale.
È luglio, d’accordo, ma non quello che conosciamo noi.
Eppure quel 18 luglio sembrava di essere a Milano.
Una giornata strana. Rebecca fatica a mandare a memoria le battute del copione che sta provando.
E la cosa le crea disappunto, perché quello è il copione della vita.
Dopo Woody Allen, di lei si è accorto anche Francis Ford Coppola che la vuole nel cast del capitolo conclusivo della trilogia de Il Padrino.
Recitare accanto a Pacino, Andy Garcia e Diane Keaton sarebbe un sogno. Quel maledetto caldo annebbia però sogni e pensieri.
Ripensa a tutti i sacrifici, alle prime soddisfazioni, a Mia sorella Sam che le ha aperto le porte del cinema che conta.
Adesso è lei che sta per aprire una porta, quella di casa sua: qualcuno ha suonato e Rebecca, forse, è quasi contenta di poter fare una pausa per staccarsi un momento dal copione.
Ma quando apre quella porta si trova davanti ancora lui, Robert John Bardo.
Non è il suo fidanzato, non è neanche un ex. È un invasato che pensa di averla tutta per sé.
Ma Rebecca non si intimorisce con facilità, anzi: forse il caldo, forse la tensione per il provino… firma l’ennesima foto che Bardo le ficca sotto il naso, davanti casa sua, sulla soglia.
Ma dopo averlo accontentato, dice risoluta che quella è l’ultima volta, non deve più presentarsi così, quella è proprietà privata.
Lo hanno già diffidato, cacciato dai set, rispedito al mittente in più di un’occasione.
Eppure Bardo è lì in piedi sulla porta, a un indirizzo ottenuto pagando un investigatore privato; con una pistola procuratagli dal fratello, visto che lui ha soltanto 19 anni, nascosta nella busta di carta che tiene in mano. Ma non spara subito.
Se ne va e Rebecca pensa di avere risolto. Passa un’ora nella quale Bardo rimugina in un bar, ripensa a quella scena di sesso dell’ultimo film della ragazza.
Non l’ha digerita, anzi, gli ha riacceso un’ossessione che pareva sepolta e che invece era soltanto sopita.
Deve punirla, è una donna facile come tutte le altre.
Torna da lei, risuona. Rebecca riapre. È scocciata, ma non fa in tempo a formulare pensieri.
Il colpo parte, lei urla e cade a terra. Lui fugge.
Lei non sopravvivrà a quello sparo.
Lui verrà preso e condannato all’ergastolo. Per fortuna.
Michail Lermontov
La cabala ebraica è una dottrina che interpreta i simboli della Bibbia, ma per estensione è l’arte che vorrebbe indovinare il futuro attraverso i segni e i numeri.
Nella vita del poeta e scrittore russo di origini scozzesi Michail Lermontov, i numeri hanno avuto un peso.
Due in particolare: le cifre finali dell’anno di nascita e di quello in cui perse la vita. Il 14 e il 41, stesse cifre ma invertite.
Forse è un caso, anzi, senz’altro lo è. Gli esseri umani hanno il bisogno innato di schematizzare, trovare un senso a tutto, a ogni costo.
Così quei due numeri che s’invertono, si danno le spalle, cambiano l’ordine delle cose, sembrano essere la sintesi del destino di Lermontov, ucciso da un ex commilitone che prima era amico e poi gli ha voltato le spalle per un’offesa.
L’amicizia che diventa odio per un’onta da riparare, un duello che mette i protagonisti schiena contro schiena, come quei numeri che prima hanno un ordine e poi lo ribaltano.
Michail entra in questa storia perché oltre a essere stato poeta e scrittore, suonava alcuni strumenti e cantava benissimo.
Lo apprezzava molto proprio Nikolaj Martynov, l’amico compagno d’armi. Forse risero insieme, forse ebbero paura di morire sugli stessi campi di battaglia.
Può darsi si siano aiutati l’un l’altro in qualche occasione. Poi qualcosa irruppe, come una nuvola carica di pioggia, a guastare tutto.
Un duello.
Michail che perde la vita sullo stesso terreno raccontato tempo prima, di proprio pugno, in un romanzo a puntate.
Se solo avessero lasciato sfogare quella nuvola, sarebbe passata come un temporale.
Oppure sarebbe potuta andare come durante il pranzo di altri due amici: David Bowie e Lou Reed.
Il campo di battaglia: un ristorante nel quartiere londinese di Kensington.
Risate, atmosfera serena, poi David dice qualcosa che Lou non tollera.
Lou si alza e inizia a prendere a pugni David. Lou se ne va, David piange, poi scappa.
Non si è mai saputo cosa Bowie disse a Reed, ma l’amicizia faticò a riprendere quota.
Però non ci scappò il morto, almeno in quell’occasione.
Siamo arrivati in fondo al viaggio di oggi. È stato difficile, lo dicevamo all’inizio.
Non poteva essere altrimenti, viste le storie che abbiamo toccato.
Poteva rischiare di essere un viaggio morboso, all’interno di vite spezzate in modo cruento e con moventi costruiti da personalità distorte, come la realtà che vedevano intorno e dentro di loro.
Speriamo di averlo reso per quel che ci eravamo prefissati. Monito e ricordo.