Sulla strada dell’Indie rock: la A4 dei Novanta (parte 1)

Scritto da il Febbraio 3, 2023

Gli anni Novanta dello scorso secolo furono il decennio d’oro del rock.

Benché la percezione, per la volta ennesima, parlasse di morte della musica di genere.

Dopo l’arrivo del grunge, estensione tardiva del punk, furono invece anni fertili.

Sia per il decadente mondo dell’hard rock (leggasi il doppio album Use your illusion dei Guns ‘N’ Roses, con punte sperimentali non indifferenti in certi brani), sia per il rock considerato alternativo.

Insomma, non mancarono ispirazioni e maledizioni. Come tradizione impone, potremmo dire.

E in casa nostra? Non si scherzò affatto: i Litfiba fecero da apripista new wave nel decennio precedente, poi arrivarono gruppi che meritano la menzione d’onore, come i Timoria.

I colori esplosi della provincia

I Timoria in una foto d'archivio

I Timoria in una foto d’archivio

I Timoria sono un vanto tutto provinciale, se mai il rock è stato capace di restare dentro il recinto della provincialità anche quando suonato lontano dalle big cities.

Figurarsi cosa può accadere se quel rock viene creato in lingua italiana a Brescia.

Non poteva restare confinato, no. Tutto nacque dai Sigma Six, da Omar Pedrini ai tempi del liceo.

La suggestione per il progressive dei primi Pink Floyd divenne l’omaggio nel primo nome della band, i Sigma Six appunto.

Ne facevano parte Pedrini, il bassista Carlo Alberto Pellegrini, il tastierista Enrico Ghedi e il batterista Diego Galeri.

Il fulcro è sempre stato lo stesso Pedrini: crebbe all’interno di una famiglia dalla marcata tradizione musicale, tramandata generazione dopo generazione.

Uno dei bisnonni materni era liutaio, la nonna materna suonava la chitarra.

Mentre la madre, simpatizzante hippy, era solita portare i figli con sé ai concerti di cantautori come Vecchioni, Bertoli, De Gregori e Guccini.

Ai Sigma, che presto cambiarono nome in Precious Time, si aggiunse nel tempo la voce storica di Francesco Renga. Con i Waters e Gilmour nostrani, per così dire, partì l’era dei Timoria con il primo disco del 1990, Colori che esplodono.

Il sogno americano, gli antieroi e le autostrade

La prima traccia del primo disco, Sogno americano, è la chiara fotografia del manifesto scritto dai Timoria.

Sono storie senza eroi cantate in italiano a dispetto dei consigli di addetti ai lavori e non.

Piedi ben piantati nella terra di casa nostra, radici provinciali ben nutrite e idee chiare sulla figura dell’antieroe.

Insomma, sulla A4 passa la stessa filosofia che attraversa la A14 per arrivare con il suo odore e dalle radio, alla bassa emiliana di Luciano Ligabue.

I Timoria e il rocker di Correggio, per altro, ebbero in comune anche Angelo Carrara, produttore rischia tutto la cui impronta musicale si può rintracciare sia negli esordi del cantautore emiliano, sia nello splendido Viaggio senza Vento della band bresciana.

Colori che esplodono non è soltanto il loro debutto, lo è anche per Gianni Maroccolo nelle vesti di producer.

Il bassista dei Litfiba si cimentò nel nuovo ruolo pure, se non soprattutto, per via dell’uscita dal gruppo di Renzulli e Pelù, che di lì a poco sarebbero passati a un rock di più riconoscibile impronta hard – e un filo pop, non troppo – con El Diablo.

Da Brescia a Vicenza, dai Timoria ai Mistonocivo

I Mistonocivo in un'immagine degli anni Novanta

I Mistonocivo in un’immagine degli anni Novanta

Come tutte le favole, o le semplici storie che racchiudono momenti magici e intrecci di creatività, anche quella dei Timoria finì.

Accadde nel 2003, ma l’abbandono di Renga nel 1998 tracciò la strada.

Per fortuna c’è sempre qualcuno che tenta di tenere accesa la fiamma e, in questo caso, parliamo di contemporanei di Pedrini e soci.

Dobbiamo solo spostarci un po’ più a Est percorrendo 120 chilometri di autostrada A4.

È Vicenza la casa dei Mistonocivo, ma gli stava stretta.

Dopo gli esordi del 1994, il cantante Cristiano Cortelazzo e i suoi sodali incontrarono il sogno americano che i Timoria cantavano, tentando di sognarlo a modo loro senza perdere la radice della lingua italiana.

E lo fecero con italiani: fu infatti la neonata etichetta californiana Fload di Pierluigi Forlani e Corrado Rustici (un guru visionario della produzione internazionale, una sorta di Brian Eno tricolore) a contattarli nel 1999.

A inizio nuovo millennio, a San Francisco, partirono le registrazioni del loro secondo disco, il più famoso e venduto: Virus.

L’anno successivo il progetto si concretizzò anche grazie al contributo Virgin: il singolo Blackout girò in heavy rotation tv e radiofonica.

Il video spopolò anche per la presenza di Claire Forlani, figlia di Pierluigi, destinata a lasciare il segno a Hollywood accanto a Brad Pitt in Vi presento Joe Black.

Fatto tutt’altro che trascurabile, la band ottenne gli opening act dei concerti italiani di Lenny Kravitz e Audioslave, mica robetta.

Nonostante tutto questo, i Mistonocivo non raccolsero i consensi sperati e la loro stella si eclissò un po’.

Dopo Edgar del 2003, Unplugged 139 del 2005 (con una versione acustica di Blackout molto coinvolgente) e Zerougualeinfinito del 2009, si è dovuto attendere quasi un decennio per il successivo Superego.

L’anno è 2017, il disco trasuda coraggio e strizza l’occhio all’elettronica, a certi angoli subsonici e al mondo Nine Inch Nails, senza perdere l’identità alternative rock italiana.

Il viaggio continua…

 

 

 


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