Tenacious D: Jack Black e la fantasia (volgare) al potere
Scritto da Emanuele Saccardo il Maggio 10, 2023
Questa storia ha a che fare con il basket. Anzi, questa storia ha poco a che fare con il basket.
C’entra però con un concetto di questo sport: la difesa ferrea. In una espressione, la difesa tenace.
O per dirla all’americana: tenacious defense.
Questa storia ha più a che fare con il rock mescolato alla commedia, è una storia da simil teatro canzone a stelle strisce.
Di più, è un teatro che si estende in ogni direzione e accezione della performance: un palco o l’obiettivo di una telecamera, un reel su Instagram o una gag da Jimmy Fallon.
D’altra parte Thomas Jackob Black e Kyle Richard Gass non sono soltanto ottimi musicisti, sono anche attori.
Di più: sono depositari del giullaresco dna dei cantori medioevali, con più ego e tanti watt a disposizione.
Jack Black e Kyle Gass hanno costruito la loro personale versione di rock band mettendo in piedi il duo Tenacious D, la difesa tenace di chi ha sempre saputo che la parola destino… è da sempre nel loro destino.
Il viaggio da Pasadena
Questa settimana ho preso a nolo una Chevrolet Impala del 1967, nera, ben tenuta.
Dice: era di due fratelli un po’ strani, ogni tanto ci ho trovato dentro qualche schizzo di sangue e nel bagagliaio era dipinta una stella bianca a cinque punte.
Una mezza idea di chi fossero i due fratelli ce l’ho, credo che storia e auto piaceranno ai due brutti ceffi che sto andando a incontrare.
Parto da Pasadena, volevo sentirmi un po’ dentro le atmosfere di The big bang theory.
Percorro la 110, attraverso Northeast Los Angeles, leggo i cartelli che indicano Lincoln Heights, ma punto verso la costa in direzione Santa Monica.
Qui ogni cosa, ogni palma, qualsiasi carrello pieno di lattine dei senza tetto, ogni ragazza bionda che fa jogging rimanda a qualche serie tv, qualche show e tonnellate di film.
Mi fermo un attimo ad assaporare tutto questo delirio: devo, sono in missione, è il destino ad avermi portato qui.
Accosto in Bunker Hill Avenue, un nome da cinema anche questo.
Mi guardo attorno: villette mono familiari color pastello, una sorta di condominio con i balconi in tonalità salmone che pare di essere sulla costa romagnola, l’unica cosa che stona tra queste due strade che s’incrociano in un saliscendi assolato.
Riparto, l’atmosfera californiana mi deve restare addosso: a poche miglia c’è Chinatown, ma dove sto andando le lingue d’asfalto si muovono sinuose in faccia all’Oceano, lo stesso asfalto dove correva la Porsche di Hank Moody, lo scrittore bukowskiano di Californication.
Eccolo, il destino, mi parla dalla radio: KTWV trasmette Rock your socks, proprio dei Tenacious D.
L’incontro al molo
Arrivo al molo di Santa Monica, un grande classico.
I lampioni ritorti che fiancheggiano la passeggiata danno un tocco retrò, qualcosa che un po’ stride ai miei occhi se messo a confronto con il ragazzino alla mia destra vestito da astronauta (sei in America, amico, non chiedere perché).
Ruota panoramica e sole che abbaglia illudono, a queste latitudini.
Il legno madido di salsedine agevola il passo con un suono attutito.
Allungo lo sguardo in cerca del mio contatto: eccolo lì, barba folta e apparentemente poco curata, addome più che prominente.
Lo riconosco a dispetto di un berretto da football che fatica a contenere la sua lunga chioma. Indossa anche occhiali scuri.
Quando dico a Jack Black chi sono e perché mi trovo lì, fa un’espressione delle sue: leva gli occhiali e m’illumina con lo sguardo chiaro, sorride e mi shakera la mano per un tempo infinito.
La prima cosa che mi sento di esternare, seguendo il mio ultimo pensiero, è :«Ma perché nei film o nelle serie tv, quando un americano finisce una telefonata non saluta mai e butta giù la conversazione?»
Domanda discutibile, ma se non la faccio a Jack Black, a chi potrei?
Ride un po’ più sguaiato buttando la testa all’indietro, teatrale.
Poi mi fissa, serio, teatralissimo: «Don’t bother me, man, there’s a lot of pressure here!».
Chissà se sta scherzando… non mi dà il tempo di capire: «Let’s go to pick up my brother Kyle».
Direzione Walnut Creek, nella East Bay.
In auto con Jack verso la Bay Area
Il viaggio in direzione dell’interno della Bay Area è lungo.
In macchina Jack mi racconta cose irripetibili, fidatevi della mia parola.
Ridiamo da pazzi quando gli ricordo la gag del Signore degli anelli girata con Sarah Michelle Gellar, la Buffy ammazza vampiri.
Chi ha visto quella clip da YouTube, sa di cosa parlo.
Gli ho naturalmente fatto una marea di complimenti per la carriera d’attore, i premi e le candidature, per i video spaziali che fa sul suo account Instagram.
Mi preme chiedergli un’altra cosa, adesso: com’è stato crescere con genitori ingegneri aerospaziali, lui che è nato nel 1969 forse arrivando dalla luna che gli Usa per primi stavano conquistando.
Com’è stato avere una madre distintasi per il lavoro sul sistema di navigazione del modulo lunare Apollo.
Awesome, risponde, benché aggiunga che il divorzio dei suoi, quando aveva 10 anni, lo ha segnato.
Però gli ha dato anche una spinta, un boost.
Che lo spettacolo, l’arte, un’attitudine drammatica e giocosa fossero nella sua natura lo si intuiva già ai tempi della scuola.
Un artista poliedrico, Jack. Lo sei, altroché.
Con finta modestia mi risponde. «I know, know, thanks. It’s a dirty job, but someone has to do it!»
L’Impala che s’impala
All’improvviso l’imprevisto.
L’Impala gorgheggia, poi singhiozza e sobbalza.
Faccio giusto in tempo ad accostare e la Chevrolet emette un rantolo. Poi si spegne.
Un po’ di fumo sale dal cofano.
Estraggo le chiavi con un filo di panico che inizia a serpeggiarmi nella colonna vertebrale, Jack resta semi impassibile, scende dall’auto.
Mi guarda e dice qualcosa che, a tradurlo in edulcorata maniera, suona: «Siamo abbastanza spacciati, amico, dove diamine hai noleggiato questa ferraglia?»
Allargo le braccia mentre chiamo i soccorsi. La visita a Kyle salta di sicuro, Jack Black prende il suo telefono e parla fitto con il compagno di band, ridono insieme.
Jack è divertito, mi dice che fa parte del destino, che i demoni si palesano in questo modo sulla strada del rock.
Curioso modo di interpretare gli eventi, penso.
Visto che ci toccherà aspettare un bel po’, e visto che abbiamo ascoltato Tribute, gli domando di Dave Grohl, demone nel videoclip del brano.
Ne parla solo bene, con una punta di ammirazione luccicante mescolata al ricordo commosso di Taylor Hawkins, scomparso poco più di un anno fa.
A bruciapelo gli domando: «Che cosa faresti se Kyle non fosse più nella band?»
Jack non ci pensa neanche su, risponde di getto: «He is my brother in arms, no way without him».
L’epilogo
In qualche modo ce la siamo cavata, ed è già tempo di saluti.
Mentre aspettavamo il carro attrezzi (il cui autista, a proposito, ci ha scarrozzato fino a Santa Monica perché ha riconosciuto Jack), il cantante dei Tenacoius D mi ha raccontato che all’inizio lui e Kyle non si vedevano di buon occhio.
Era lo stesso Kyle a dare lezioni di chitarra a Jack, pensate un po’.
A furia di stare a stretto contatto, sono diventati inseparabili.
La vita è così, il destino è così, anche se a volte ama travestirsi da demone per poi mostrarti qualche spiazzo assolato di paradiso.
Per me è tempo di tornare, saluto Jack dandogli appuntamento il 10 giugno al Carroponte di Sesto San Giovanni, per la sola data italiana dei Tenacious D.
Lui saluta a sua volta tutti voi e ringrazia. In modo teatrale, fidatevi.